lunedì 22 giugno 2009

Italia dall'Estero -La mia triste Italia

Pubblico un articolo di El País del 15 giugno 2009 (traduzione da Italia dall'Estero):

La mia triste Italia

Un paese che fu bandiera di libertà e cultura ha oggi come premier un politico che censura l’informazione che non lo interessa. Cos’è successo all’Italia? Perché chi l’ama stenta a riconoscerla?

Ho vissuto in Italia più che in Spagna: circa 50 anni. A questo paese, che, secondo l’Unesco possiede il 36% dell’arte del pianeta, io devo molto, sia umanamente che culturalmente. In Italia, dove ho studiato, dove ho respirato per la prima volta l’aria pura della libertà - arrivato molto giovane dal paese della censura, delle condanne a morte arbitrarie, dell’inesistenza di partiti politici - mi diedero la nazionalità per meriti culturali. Lì votai per la prima volta in vita mia. Avevo più di 40 anni. In Spagna non si votava, si viveva solo il terrore.

Ricorderò sempre quella mattina in cui, finalmente, potei introdurre la mia scheda nel segreto di un’urna. Il mio voto, mi dissero, ne valse migliaia. Erano elezioni nelle quali gli italiani cominciavano a stancarsi dei politici, il che li spingeva a non votare. La RAI mi intervistò per chiedermi cosa provasse uno spagnolo che, per la prima volta, poteva votare. Parlai della mia evidente emozione ed mi spinsi a chiedere a coloro che stavano pensando di non recarsi all’appuntamento con il voto, che lo facessero per ripagare la mia pena di non aver mai potuto votare in tanti anni. Più tardi mi chiamarono dalla radio per dirmi che migliaia di persone, tra cui qualche famiglia intera, desideravano che io sapessi che erano andati a votare grazie a me.

In Italia ho potuto pubblicare ciò che non potevo pubblicare nel mio paese (la Spagna, N.d.T.). I suoi quotidiani ed i suoi periodici mi aprirono le porte. Ho goduto del privilegio di conoscere, frequentare ed intervistare personaggi della letteratura e dell’arte che hanno reso grande, in quel momento storico, il paese di Dante e Leonardo, gente come Fellini, Pasolini, Sciascia, Italo Calvino; stilisti come Valentino, Armani, Missoni; grandi imprenditori come Agnelli o Pirelli; magnifici editori come Einaudi o Feltrinelli ….

Persino politici degni come Berlinguer o Moro, o giudici coraggiosi come Falcone, con il quale ho conversato per mesi prima che fosse assassinato. Durante l’incontro con il giudice Falcone eravamo circondati da un nugolo di poliziotti armati fino ai denti e con le sirene spiegate. “È tutto teatro. Quando la mafia lo deciderà, mi ammazzerà lo stesso”, mi disse il magistrato congedandosi con un mezzo sorriso triste. Lo uccisero. Quella era un’Italia che io amavo appassionatamente, nella cui lingua ho scritto i miei primi libri. Fino a quando non è arrivato Berlusconi. Lo vidi atterrare a Palermo, capitale siciliana e cuore della mafia, in elicottero, come un dio pagano. Erano le sue prime elezioni. In pochi credevano che quell’istrione, che mai si era messo in politica, avrebbe potuto vincere in un paese tanto politicizzato come l’Italia. Io pronosticai sul giornale la sua vittoria. Quella mattina a Palermo vidi quasi mezzo milione di persone alzare le braccia verso l’elicottero che portava il Salvatore.

La Mafia siciliana aveva cambiato bandiera. Aveva finito con l’abbandonare la potente Democrazia Cristiana, fino ad allora la sua signora, per offrire il bacio ed i suoi voti all’imprenditore del quale si diceva che possedesse la magica capacità di creare posti di lavoro dal nulla. L’Italia cominciò quel giorno ad entrare nel tunnel della degenerazione. Io ritornai in Spagna.

Adesso vedo, come in un incubo, che gli italiani, che mi avevano dato la gioia per la libertà di informazione e di espressione, devono leggere El Pais per poter conoscere le spudoratezze commesse dal Cavaliere. Dov’è finita quell’Italia che il mondo amava e ammirava?

L’Italia mi difese quando uno dei governi di Franco cercò di processarmi per un articolo che riguardava il comportamento della Chiesa spagnola durante la dittatura militare. Mi convocarono a Madrid. Mi ricevette l’allora ministro Girón. A casa sua. Mi raccontò che un ministro aveva portato il mio articolo ad un Consiglio dei Ministri, chiedendo la mia testa. Franco si limitò, alla fine del Consiglio, a chiamare il ministro Girón e gli disse: “Lasciate stare il giovanotto, altrimenti in Italia lo fanno martire. Però chiamalo e diglielo”.

Era un avvertimento chiaramente mafioso. Così era allora la Spagna. Così è oggi, o quasi, l’Italia.

Nelle mie notti insonni mi chiedo come sia potuta avvenire una tale metamorfosi. Come si sia arrivati attualmente a questa mia triste Italia. Posso solamente farmi alcune domande, dopo la mia grande esperienza italiana.

Perché vinse Berlusconi la prima volta, quando già circolava un libro sui suoi misfatti ed illegalità come imprenditore edile a Milano? Perché i socialisti di Bettino Craxi che, ricercato per corruzione, alla fine morì in esilio, quando arrivarono al potere, permisero a Berlusconi di creare il suo impero televisivo contro tutte le norme della Costituzione? Che cosa fecero o non fecero i comunisti eredi del severo e rispettato Berlinguer, quando, arrivati al potere dopo più di quarant’anni di lotta, lo gestirono tanto male da far sì che gli italiani richiamassero Berlusconi?

In cosa tradirono gli italiani? Perché avevano perso così presto l’essenza di quello che era stato il partito comunista più grande d’Europa e dell’Eurocomunismo, e che riuniva sotto la sue ali, proteggendola dalla mediocrità della destra, tutta l’Intellighenzia, tutta l’arte e tutta la cultura del paese? Un partito, insisto, che aveva come leader un Berlinguer sempre timido e nascosto, figlio legittimo della austera Sardegna, però retto, degno e tanto amato che, il giorno della sua morte, la città di Roma si paralizzò e due milioni di persone si riversarono nelle strade come se la Nazionale avesse vinto un campionato mondiale di calcio.

In quell’epoca fui un severo critico dell’allora potente Democrazia Cristiana, che era al potere da 40 anni e che fu spazzata via a causa dei suoi scandali di corruzione.

Oggi, a tanti anni di distanza, devo riconoscere che ciò che venne dopo, fu peggio. È sotto gli occhi di tutti.

La Democrazia Cristiana, profondamente conservatrice, aveva tuttavia un profondo rispetto per la libertà di espressione dei giornalisti.

Conservo ancora delle cartoline scritte con i caratteri grandi di Fanfani e quelli minuti di Andreotti, entrambi, per diverse volte, presidenti del Consiglio. Ogni volta che pubblicavo un articolo critico su uno o l’altro, nel mio ufficio compariva un motociclista che mi portava una di quelle cartoline, con le quali mi ringraziavano di avere scritto su di loro.

Quando la Spagna stava per entrare nell’Unione Europea, il ministro italiano degli Affari Esteri era Andreotti. All’Ambasciata italiana a Madrid, qualcuno più realista del re decise di fare uno studio dei miei articoli, concludendo che io ero eccessivamente critico con i politici italiani. Chiamarono l’Ambasciatore spagnolo a Roma e, con evidente fare mafioso, gli ricordarono che l’Italia era fondamentale per l’ingresso della Spagna nella Comunità Europea e che i miei articoli non erano di loro gradimento.

La notizia arrivò alle orecchie di Andreotti, che ignorava il fatto. Quella mattina mi chiamò per offrirmi un’intervista. Mi ricevette a braccia aperte. Non si parlò della questione suscitata dall’Ambasciata italiana a Madrid. Mi raccontò aneddoti inediti sulle sue relazioni con l’allora Papa Giovanni Paolo II. Mi disse che il Papa polacco lo invitava a volte a pranzare o a cenare con lui e perfino ad assistere alla messa nella sua cappella privata.
Prima di congedarmi, mi dedicò un libro con queste parole: “Al mio caro collega giornalista Juan Arias, con amicizia”. Andreotti si vantava sempre di essere un giornalista di professione. Ormai alla porta, mi disse: ” La Spagna sarà molto importante nella Comunità Europea. Io l’appoggerò”. Lo fece.

Nonostante ciò, Andreotti soleva dire che ai politici spagnoli mancava la finezza. Purtroppo questa finezza manca oggi a tanti politici italiani, a cominciare dal presidente e dalla sua corte faraonica, che hanno orrore e panico della libera informazione.
Forse non è vero che agli italiani piace tanto Berlusconi - perlomeno agli italiani che conosco io -, forse non gli piacciono neanche tanto gli altri politici.
A questi altri, io diedi il primo voto della mia vita. Cosa triste, come direbbe Saramago.

(Articolo originale di Juan Arias)

Nessun commento: