venerdì 29 gennaio 2010

Italia dall'Estero - Una lezione di moralità italiana

Pubblico un articolo del Guardian del 24 gennaio 2010 (traduzione da Italia dall'Estero):

Una lezione di moralità italiana

L’Italia potrebbe insegnarci qualcosa? Questa domanda scaturisce dalle celebrazioni di questa settimana (non c’è davvero nessun’altra parola per definirle) del 10° anniversario della morte di Bettino Craxi. Il leader socialista, Presidente del Consiglio italiano per quattro anni negli anni ‘80 e morto in esilio da latitante, fu condannato in via definitiva a 11 anni di carcere per corruzione e finanziamento illecito dei partiti.

Potreste giustamente pensare che Craxi sia un politico che i leader di oggi vorrebbero dimenticare. Silvio Berlusconi, l’attuale Presidente del Consiglio, ha beneficiato di una protezione straordinaria da parte del capo socialista. È stato proprio grazie all’intervento di Craxi che Berlusconi ha potuto trasmettere con le sue emittenti, su tutto il territorio nazionale, dopo averle accorpate in violazione della legge.

Eppure, invece di mettere Craxi nel dimenticatoio, la classe dirigente italiana lo ha celebrato. Addirittura il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (ex comunista), ha scritto alla vedova Craxi per dire che il marito era stato trattato con “una durezza senza pari”. Il Capo dello Stato, un personaggio che incarna i valori nazionali, ha poi partecipato a una funzione per celebrare l’anniversario della morte di Craxi in Parlamento.

Nelle settimane precedenti all’anniversario, Roma è stata tappezzata da manifesti per commemorare il leader deceduto. Politici di destra e sinistra sono stati concordi nel definire Craxi una vittima sacrificale (prima di fuggire a Tunisi, Craxi si era difeso dalle accuse in un discorso in Parlamento dichiarando che tutti i partiti erano corrotti). E all’inizio del mese il sindaco della sua città natale, Milano, ha fatto sapere di voler intitolare una strada o un parco al leader socialista, forse il segno più evidente della sua riabilitazione.

Forse non c’è un episodio della recente storia italiana che illustra in modo tanto forte la tolleranza del paese nei confronti della corruzione e dell’illegalità. Ma il mio intento non è veicolare sgomento o condanna, bensì evidenziare il fatto che questo sta accadendo in un paese ricco e che questo contraddice un presupposto largamente condiviso.

Che io ricordi, sociologi ed economisti hanno creato un nesso tra livello di corruzione e di prosperità. Per molto tempo questo dato è stato confermato dalle classifiche. Una società estremamente corretta come la Svezia, per esempio, aveva un alto PIL pro-capite.

L’Italia rappresenta un’eccezione. Oggi, dopo l’ultimo grande riallineamento dei tassi di cambio, l’Italia è più ricca della Gran Bretagna. Ma, l’Indice di percezione della corruzione elaborato da Transparency International oggi colloca l’Italia al 63° posto su 180 paesi – sotto la Turchia, Cuba e molti paesi africani tra cui Sud Africa, Namibia, Capo Verde e Botswana.

L’Italia di Berlusconi non è soltanto distante dagli standard di moralità pubblica considerati normali nel resto d’Europa, ma è sprofondata nelle classifiche, attestandosi al 55° posto nella classifica di Transparency International nel 2008 e al 41° l’anno precedente.

Forse la correlazione tra ricchezza e correttezza nella cosa pubblica è destinata a finire nella discarica dell’esperienza storica, come altre verità consolidate. Si era sempre soliti affermare che le democrazie non erano in grado di sopravvivere all’iperinflazione. Ma poi è arrivata la controprova di Israele nei primi anni ‘80. Si sentono ancora gli esperti affermare che, oltre un certo punto, i leader sono costretti ad accettare la democrazia se vogliono veder prosperare le proprie economie. Ma lo si sente ripetere molto meno oggi che la seconda economia più grande al mondo è gestita da un partito comunista non intenzionato ad abbandonare la sua presa sul potere.

(Articolo originale di John Hooper)

Nessun commento: