giovedì 25 novembre 2010

Italia dall'Estero - Le relazioni pericolose del Cavaliere con la “Piovra”

Pubblico un articolo di Le Temps del 1° novembre 2010 (traduzione da Italia dall'Estero):

Le relazioni pericolose del Cavaliere con la “Piovra”

Da anni il nome del capo del governo viene citato con regolarità da persone legate a Cosa Nostra in Sicilia. Silvio Berlusconi respinge in toto queste accuse.

Invischiato in un nuovo scandalo sessuale, dopo le rivelazioni secondo le quali sarebbe intervenuto impropriamente per fare liberare “Ruby”, una minorenne arrestata dalla polizia per furto, Silvio Berlusconi si ritiene vittima di una cospirazione. Politicamente indebolito da diversi mesi, soprattutto a causa della crisi economica e del dissenso all’interno della sua stessa coalizione, teme in particolare nuove inchieste dopo il recente mandato di comparizione da parte della Procura di Roma che lo sospetta, insieme al figlio, di evasione fiscale.

Ma l’attenzione di Silvio Berlusconi è anche rivolta alla Sicilia, dove da anni il suo nome è regolarmente citato da personaggi legati a Cosa Nostra. Lo scorso agosto, Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco democristiano di Palermo Vito Ciancimino, condannato per concorso in associazione mafiosa, e sua madre, hanno detto che alla vigilia delle legislative del 2001 il Cavaliere avrebbe inviato denaro a Bernardo Provenzano, il boss dei boss, allora latitante. L’obiettivo era assicurarsi il sostegno elettorale dei clan?
Alcune settimane prima, Massimo Ciancimino, lui stesso sotto inchiesta per collusione con la Piovra, aveva sostenuto che i boss siciliani “negli anni ‘70 e ‘80, avevano fatto grossi investimenti nella Edilnord”, la società di costruzioni del Cavaliere. “Silvio Berlusconi non ha mai avuto contatti diretti o indiretti con Vito Ciancimino” († 2002), ha duramente replicato il suo avvocato, Niccolò Ghedini.

Ma già l’anno scorso un pentito di mafia, Gaspare Spatuzza, aveva tirato in ballo il Presidente del Consiglio, sostenendo il suo ingresso in politica nel 1994 sarebbe stato appoggiato dalla Piovra. Nel corso della sua deposizione in particolare ha dichiarato che Giuseppe Graviano, padrino del quartiere palermitano Brancaccio, gli aveva confidato a Roma, nel gennaio dello stesso anno, che Berlusconi era diventato un interlocutore di Cosa Nostra: “Graviano mi fece il nome di Berlusconi e mi disse che grazie a lui e al compaesano nostro [Marcello Dell'Utri, N.d.R.] ci eravamo messi il paese tra le mani”.

Gaspare Spatuzza tuttavia non ha fornito molti dettagli e Giuseppe Graviano, ora in carcere, non ha confermato i fatti. “Sono accuse infondate e infamanti”, hanno replicato i politici vicini al leader della destra che ricordano il curriculum criminale dei suoi accusatori. “Prima di collaborare con la giustizia Gaspare Spatuzza era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di un prete anti-mafia”.
Resta il fatto che queste dichiarazioni hanno riaperto gli interrogativi sulle ombre siciliane che hanno circondato l’ascesa nel mondo degli affari e poi nella politica dell’attuale numero uno italiano. Il primo episodio inquietante risale agli anni ‘70, quando Silvio Berlusconi si lancia nel settore delle costruzioni con il contributo finanziario della banca Rasini dove lavora suo padre. Nel 1984, quando un giornalista chiederà al losco ex banchiere Michele Sindona “quali sono le banche usate dalla mafia”, quest’ultimo risponderà: “a Milano una piccola banca che si trova in Piazza dei Mercanti”, la sede della banca Rasini.

L’origine dei fondi dell’impero Berlusconi, nascosti dietro a numerose società di comodo, come rivelato nel libro di Elio Veltri e Marco Travaglio “L’odore dei soldi” non è mai stato totalmente chiarito. Ma l’elemento decisivo è costituito dall’entrata in scena di Marcello Dell’Utri. Questo palermitano abile e colto, ex compagno di università di Silvio Berlusconi, diventa il suo braccio destro nei primi anni ‘70. Successivamente sarà responsabile di Publitalia, il potentissimo monopolio pubblicitario della Fininvest.
È Marcello Dell’Utri che, nel 1973, introduce il capomandamento di Palermo Vittorio Mangano nella villa di Silvio Berlusconi. Ad Arcore ufficialmente Mangano fa lo stalliere. Ci resterà per circa due anni. “All’interno di Cosa Nostra è stata una delle poche persone in grado di gestire le relazioni con gli ambienti industriali”, spiegherà in seguito il giudice Paolo Borsellino, assassinato nel 1992. Vittorio Mangano sarà condannato all’ergastolo per omicidio nel 2000.

Per quanto riguarda Marcello Dell’Utri, anch’egli è stato condannato a giugno dalla Corte d’Appello di Palermo a 7 anni di carcere per “concorso in associazione mafiosa”. In primo grado i giudici avevano parlato di un “contributo concreto, volontario, consapevole” al “consolidamento e rafforzamento di Cosa Nostra, in particolare attraverso i suoi rapporti col gruppo Fininvest”. Grazie al suo intermediario Silvio Berlusconi avrebbe incontrato personalmente nel 1974 il grande boss palermitano Stefano Bontade. “Alla fine, Berlusconi ci ha detto che era a nostra completa disposizione”, ha raccontato il pentito Francesco Di Carlo, presente a quella riunione. All’epoca l’uomo d’affari temeva – per sé e la sua famiglia – possibili sequestri da parte della mafia.

Tra il pagamento del racket per proteggere le sue reti televisive in Sicilia o gli accordi politici per aiutare Marcello Dell’Utri a lanciare nel 1993 Forza Italia, la carriera di Silvio Berlusconi è quindi scandita da sospetti e misteri. Alcuni arrivano persino a sospettare una responsabilità dietro agli attentati della mafia nel 1993 a Roma, Milano e Firenze, che sarebbero serviti a preparare il suo ingresso in politica, come se l’avventura del candidato Silvio Berlusconi non fosse altro che una storia criminale e non un fenomeno politico.
Il capo del governo respinge totalmente ogni sospetto, ricordando ogni volta che il suo governo è quello che ha eseguito il maggior numero di arresti di uomini d’onore. Ciononostante continua ostinatamente a difendere il suo ex braccio destro Marcello Dell’Utri, a suo dire vittima di giudici politicizzati e dichiara pubblicamente che il padrino Vittorio Mangano – che non lo ha mai chiamato in causa per ottenere eventuali riduzioni di pena – è stato “un eroe”.

(Articolo originale di Eric Jozsef)

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